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Intervista a Francesco Materasso: la “mia” Caccia…..

di Mario Sapia ( dal sito www.cacciaoggi.it)

Sessantasei anni, con il suo volto incorniciato da una barba bianca e l’accento magnogreco, Francesco Materasso presenta l’aspetto di un pensatore dell’Ellade antica. Proprio dalla Calabria centrale infatti, inizia la sua storia d’amore con una natura prodiga e aspra al contempo, da lui sempre considerata come la sua nutrice d’elezione, nonchè ispiratrice, oltre al soffio d’Artemide, anche del culto per la bellezza. Docente di Storia dell’Arte e Disegno infatti, il professor Materasso ha sempre tentato un connubio culturale fra l’anima artistica e quella venatoria, intersecandone le prospettive e fondendone i valori in una crasi non sempre agevole, eppure mai come adesso indispensabile.

Ci parli un po’ della sua biografia di cacciatore, così che i nostri lettori possano inquadrarla in una dimensione spazio-temporale definita. Risaliamo dunque alla radice della sua pulsione venatoria..

Correvano gli anni cinquanta-sessanta, quando già  all’età  di 12 anni andavo al seguito di zio Lello, insegnante di mattina e cacciatore di pomeriggio. Di fatto egli svegliò il mio gene, giacchè nonno Francesco era un gran cacciatore.
Ogni domenica, dopo essermi addobbato alla cacciatora, mi concedeva la gioia di andare con lui con in spalla uno zaino di cuoio, scurito dal tempo e dove infilavo la selvaggina che egli riusciva ad abbattere. A raccattarla ci pensava Fido: un cane di razza indefinita ma gran cacciatore.
La vera iniziazione avvenne quando lo zio decise di farmi sparare, dapprima su bersaglio fisso e dopo ai passeri e ai fringuelli. Dapprima padelle, poi i primi abbattimenti.
Ebbi la prima licenza a 16 anni, con il previsto assenso di mio padre, che tantoMaterasso014 teneva a regolare la mia posizione con la legge. Da quella età  non ho mai smesso di andare a caccia, alternando questa mia passione con quella del tiro a volo, per i cani e per i fuoristrada.
Ho praticato tutti i tipi di caccia alla penna sia vagante sia da appostamento temporaneo.
Giovanissimo fui eletto presidente comunale di Nicastro, ora Lamezia Terme, ove nacqui e vivo. Poi Consigliere provinciale della Federcaccia e, in seguito, all’età  di trentanove anni Presidente provinciale della stessa associazione. Indi, mi elessero anche Presidente della Delegazione E.N.C.I. di Catanzaro. Cariche, queste due ultime, alle quali non ho inteso ricandidarmi per stare di più con la mia compagna, con i miei cani e per fare più caccia cacciata.
Ho allevato, da amatoriale, drahthaar, grifoni kolthals, spinoni e bracchi italiani. Come dimenticare Maia dell’Adige, Lola del Val di Diano, Duke di S. Donato, Deus e Hulk di Casamassima, Cleo di Cascina Merigo  “Campione Italiano di bellezza nell’anno 1993” e Mirka del Trovese, pluricampionessa, dalle cui cucciolate è nata Zara, altre Campionessa di Bellezza. Queste due ultime, prima del conseguimento del titolo, furono cedute al caro e nobile amico Antonio Casamassima.
Ho scritto su quasi tutte le riviste venatorie, trattando argomenti vari. Per diletto e per non stare lontano dalla cultura venatoria ho costituito l’O.N.L.U.S. e A.R.C.C.A.S.I.M., con sede in Lamezia Terme, il cui acronimo significa Associazione Recupero, Caccia, cinofilia, ambiente, sport, ittica, micologia. A detta Associazione, con lo scopo precipuo di “recuperare” dal punto di vista culturale i settori di pertinenza, si è dato come logo “La Rosa dei Venti” col l’allusione di spazzare via il malcostume gestionale e, come motto, “Facta, non verba”, perchè consapevole che alle parole devono seguire i fatti.
Il tutto ha fatto sì che dentro di me esplodesse il fuoco di una forte passione per una caccia a tutto tondo. E conseguentemente per la natura. Un impulso che mi ha felicemente attanagliato per tutta la vita, che continua a farmi vivere sensazioni inenarrabili. E non credo di essere immodesto nel riconoscermi un cacciatore naturalista-conservazionista. Il possesso del selvatico, per insegnamenti ricevuti, è stato per me sempre l’estrema “ratio”.

Quali ambienti e quali cacce predilige, e soprattutto quali razze di cani ha amato, e ama di più?

La pianura di S. Eufemia Lamezia, ove io sono nato e abito, confinante con l’omonimo Golfo, fino agli anni ottanta ha offerto un habitat variegato. Non c’era selvatico che non si fermasse a sostare. E ripeto ho cacciato di tutto, da appostamento temporaneo o in forma vagante. Ricordo con nostalgia le tante stampate ai pivieri e alle pavoncelle. Alle marzaiole, in particolare. E nelle zone montane, i colombacci ai quali dedicavo tutto il mese settembre. Nella caccia vagante i miei prediletti erano il beccaccino, il frullino e, a primavera, il croccolone: maestro dei miei cani. Ho cacciato dapprima con una meticcia, una bracca pointer. Poi con bracchi italiani, all’epoca un pò pesanti ma grandi cacciatori. Ho pure utilizzato una drahthaar e due grifoni kolthals, due razze altrettanto valide per gli ambienti che frequentavo.
Un bel giorno di tanti anni fa, vidi cercare e fermare più di un beccaccino da due magnifici e superbi spinoni, condotti da due cacciatori. Uscii dall’appostamento e andai loro incontro. Li salutai, presentandomi. Erano due fratelli, Peppino e Mario Costanzo, che si dichiararono spinonisti o braccofili e cercatori di beccaccini e beccacce e niente di altro. Di quelle beccacce che io dipartivo alla posta mattutina e serale, essendo a quel tempo consentita.
Fu l’incontro che segno e tracciò il mio futuro di cacciatore cinofilo. Infatti, si fece amicizia tanto che una sera, Peppino, mi chiamò al telefono di casa invitandomi per una cacciata in Sila, giacchè qualche beccaccia era già  arrivata. Accettai di buon grado. Fu un’esperienza memorabile. Assaporai l’adrenalina dell’incontro con una preda ancora più vera e completa perchè, ad ogni pla-pla-pla, mi fece fremere e vibrare i polsi e il cuore pulsare alle tempie. A sera rientrai a casa, felice e contento. A letto, prima di addormentarmi, pensai: quella di oggi sarà  anche la mia caccia con tutte le sue regole. Basta con le stampate, basta con le mattinate ad aspettare gli schizzi dei tordi e, soprattutto, basta con l’abbattimento di beccacce all’aspetto. Mi resi conto che una beccaccia, abbattuta a ferma di cane, vale più di venti altri pennuti. Mi dispiacque abbandonare la pianura per la montagna solo per i beccaccini. E fu così che incominciai ad organizzarmi per questo tipo di caccia, verso la quale mi sono felicemente convertito recependo le regole e i modi dei fratelli Costanzo. Finii con l’ammalarmi di naturalità  e di beccaccite. Due malattie che descrivo nel mio terzo lavoro asserendo, fra l’altro, che da queste non si guarisce mai.
Amo di più i bracchi e gli spinoni, per il motivo essenziale che i sottoboschi che frequento sono stretti e a volte impenetrabili. E perchè, a beccacce, a mio avviso un cane non deve allungare più di cento metri che sono già  tanti. Ma il fatto essenziale che mi ha fatto restare su queste razze è che con queste ho affinità  caratteriale. Fino al punto che il legame diviene relazione, amore: condizione sine qua non per quella indispensabile interdipendenza fra cacciatore e cane. Quando questa è assente capita di vedere grandi cani, di qualsiasi spinonerazza, che in mano a cacciatori broccoli, sono diventati anch’essi broccoli. Ad onor del vero non ho mai visto un buon cacciatore con un cattivo cane, ma ho sempre visto cacciatori medi o da strapazzo con cani pessimi. A riguardo, mi è lieto ricordare quanto ebbe a chiarire il grande e indimenticabile Paolo Ciceri: ” E’ un errore ritenere una razza superiore alle altre, specie in rapporto alla velocità  che non deve essere fine a se stessa bensì redditizia. Non esiste una razza in assoluto: c’è la razza del cuore che rispecchia esigenze, gusti diversi e il modo di andare a caccia secondo il proprio standard di lavoro”. Al diavolo, dunque quelle querelle, lusinghe e fanfaluche che si leggono o si sentono dire. E’ questa materia di forma e di sostanza sulla quale non si scherza, sulla quale non bisogna dire coglionate, sulla quale non bisogna fare i partigiani, nel senso dello spirito di parte, nè i razzisti, nel senso di far primeggiare questa o quella razza.

Leggendo le sue opere, balza subito all’occhio una disillusione, una sorta di amarezza in apparenza insanabile?

Chi come me sta avendo la fortuna di andare avanti con l’età , ripensa intensamente sia alla propria vita sia alla esperienza di caccia cacciata. Viene naturale passare ai bilanci e, soprattutto, ai paragoni. Io, che non mi considero per niente uno scrittore bensì un semplice raccontatore, ho sempre intinto la penna nel calamaio della realtà  e della verità . E credo di avere reso un buon servizio ai miei cari e affezionati lettori e a me stesso, perchè leggere e scrivere della nostra infinita passione è divenuto per me cibo dell’anima, che continua a fare ardere dentro di me il sacro fuoco di Diana anche quando sono sdraiato su una poltrona.
Un tempo la fauna aerea e terrestre era abbondante e varia, perchè aveva di che cibarsi e dove ripararsi. Ogni habitat era tutto un olezzo di resine, di fiori, d’erbe, di fieno e di stallatico. Dai fiumi e dai ruscelli correvano acque gorgoglianti, cristalline, dove ci si poteva specchiare e dissetare. D’estate gli incendi non percorrevano interi territori. Il rapporto diretto con una natura incontaminata, la compagnia di un cane, l’incontro con colleghi cacciatori veramente galantuomini e con la gente più umile era una vera e propria sublimazione. E cosa non da poco: per completare un cucciolone bastava una sola stagione venatoria.
Oggi siamo al contrario. Le campagne, specie quelle di pianura, sono appestate di anticrittogamici, di pesticidi, eccetera. Sono maleodoranti: la selvaggina stanziale, quella vera, è scomparsa e quella di passo fa toccata e fuga. Boschi che scompaiono per mercinomio di legname. Lo spazio cacciabile è stato maldestramente ridotto. Tutto è cambiato, a nome e per conto del modernismo, del consumismo, della cementificazione, della transazione, del turismo venatorio e, perchè no, anche della globalizzazione. E mi lasci anche dire, che anche nel nostro ambito troneggia la volgarità  comportamentale e culturale, che smarrisce, che ti fa sentire fuori tempo e luogo.
Leggendomi ha colto nel segno. Sì, sono un disilluso, fortemente incavolato. Da un pò di anni, nel mio solitario andare, senza risparmiare passi e fatica, avverto che il respiro della terra si sta facendo sempre più affannoso, morente sempre più gravemente ammalata. Un avvertire che genera, disgusto, acredine e malinconia, che porta ad una sempre più orrida e sconvolgente delusione. E pian piano la sua morte mi sta entrando nel cuore. Questa è la ragione per cui mi sento un estraneo, mi sono quasi appartato perchè colto dall’angoscia, dall’impotenza e dalla rabbia perchè sono in totale disaccordo con i molti modi di come oggi si concepisce la caccia e di come si esercita, col beneplacito delle associazioni venatorie buone solo a maneggiare tessere. Uno stato d’animo insanabile per uno che non riesce a recidere il cordone ombelicale con la terra e con tutto quello che ancora oggi, in quantità  minore, riesce a donarmi e alla quale devo tutto quello che sono, come a mia madre Maria. Ecco il motivo precipuo per il quale sono passato dalla parte della beccaccia e del cane, dalla parte dei più deboli. E’ nella mia natura, nella evoluzione del mio pensiero e dei miei sentimenti. Non posso farci nulla. E’ lecito ripensare, per rivedersi e modificarsi. Per la beccaccia in special modo, perchè ” le voglio bene, ma tanto bene assai”, perchè ” è nu piezz’e e core”.
Essere in dissonanza col coro non mi spiace, non mi preoccupa. Credo che neanche S. Uberto protegga più l’universo dei cacciatori, perchè continua a non fare ammenda dei suoi peccati. Mi è dato intuire, giacchè la chiesa prevede l’istituto delle dimissioni, che si è già  “dimesso” non avendo fatto, sia i cacciatori sia chi li rappresenta, alcuna ammenda dei propri peccati. E pare che il più accreditato per sostituirlo sia un certo San Nonlosapevo.

L’attuale legge sulla caccia, molto probabilmente sarà  fra poco sostituita da un’altra. Che caratteristiche dovrebbe avere, secondo il suo giudizio, per essere una normativa efficace?

E’ una domanda che richiede qualche premessa, per chi ha perso la memoria e per chi è arrivato dopo. Spero voglia concedermela.
Negli ultimi sessant’anni la normativa venatoria è stata modificata per ben cinque volte. La sesta, quell’attuale, non è stata capace di risolvere tutti i problemi che si portava appresso la precedente. Essa, per chi è addentrato nell’argomento, sa Materasso013benissimo che si sarebbe dovuta muovere attorno a tre nuovi e fondamentali principi. Primo, la competenza delle Regioni a legiferare in materia di caccia, tranne che su quelle la cui potestà  è rimasta allo Stato, quale la tutela dei beni ambientali e culturali. Secondo, il legame del cacciatore al territorio con la nota istituzione degli Ambiti Territoriali di Caccia. Terzo, la cogestione del territorio tra agricoltori, cacciatori e ambientalisti e ciò al fine di fare superare l’antica conflittualità  fra le parti.
L’applicazione di tali principi, ancora oggi, non è vanto di tutte le Regioni, anzi taluni sono stati del tutto ignorati. In Calabria, per esempio, insiste una vera e propria repubblica venatoria, con l’aggravante dell’omertà  venatoria, a tutti i livelli.
Ben venga, allora, questa settima e nuova legge. Al più presto, perchè siamo al giro di boa: rinnovarsi o perire. Voglio però augurarmi che non sia dettata massimamente dalla parte avversa o da quei soloni che vorrebbero tenerla in vita ricorrendo alla dettatura di proclami o “cartelli”, con limitazioni cervellotiche non suffragate da riscontri oggettivi e scientifici.
Essa, secondo il mio giudizio, per essere efficace dovrebbe partire dagli errori e dai fallimenti della precedente, sforbiciandola e modificandola in più parti, per “portare la caccia fuori dalla caccia”. Per proiettarla nella società  civile e nelle scuole di ogni ordine e grado, di concerto col Ministero della Pubblica Istruzione. Urge uscire dal dilemma “caccia sì caccia no” per giungere, finalmente, a quello della “caccia come”. Già  questa filosofia di base la renderebbe credibile e accettabile alla parte migliore del mondo venatorio e, forse, gli darebbe l’opportunità  di riconquistare quell’appeal che un tempo aveva con l’opinione pubblica. E dovrebbe contenere, sotto forma di obbligazioni, più pragmatiche iniziative a favore dell’ambiente e delle tradizioni rurali e venatorie.
Mi conceda, anche, una digressione rivolta ai genitori. Portate i vostri figli o in campagna o nei boschi, a sporcarsi scarpe e mani di terra, a rincorrere farfalle e lucertole, a scoprire piante, fiori e colori, a raccogliere funghi e asparagi, ad ascoltare il canto degli uccelli, la voce del vento e il fruscio delle foglie e tanto altro. Sono molti i bambini che conoscono solo due varianti del verde: quello sporco della città  e quello dell’insalata. Ove possibile, fate vedere il lento e sinuoso incedere dei girini nei torrenti o nelle anse di qualche fiume risparmiati dall’improvvido inquinamento. Fate loro osservare e contemplare lo spettacolo di qualche alba e tramonto quando la luce del giorno stenta ad avere ragione su quella della notte, e viceversa. E, perchè no: fate loro osservare anche il lombrico che nuota nella merda della vacca. Sono le cose vedute e toccate che destano indelebili impressioni e, che trasformandosi in sentimenti, plasmano il loro animo. Datemi retta: nel e col grande “libro della natura”, cresceranno diversi, sani e forti dentro.
E, probabilmente, qualcuno di loro diventerà  cacciatore perchè si renderà  conto che a vivere intensamente la natura è proprio l’uomo cacciatore.

Quali ricette, se ve ne sono, proporrebbe per assicurare un futuro alla caccia. Forse, l’arte e la cultura?

Il passato della caccia è stato radioso. Il presente è avvilente, e per un passatista come me è sconcertante. Il futuro lo vedo tetro, per motivi lunghi da elencare.
Giacchè sono uno di quelli che non si nasconde dietro un filo d’erba mi pare corretto affermare, “Sine ulla offenti, che se le cose devono restare così è giusto che un giorno non vi sia nemmeno la caccia, perchè nessuno può disconoscere che di caccia vera e di cacciatori veri è rimasto poca cosa.
– Personalmente proporrei di ridare l’intera potestà  legislativa allo Stato per addivenire, primariamente, ad un calendario venatorio eguale per tutto il territorio. Un calendario venatorio che preveda l’adeguamento a quello di tutti gli Stati Europei, con le dovute differenziazioni per clima, territorio e tradizioni.
– Alle Regioni solo poche e ben definite deleghe afferenti l’orografia del loro territorio agro-silvo-pastorale, l’andamento climatico, la vigilanza e il ripopolamento che deve avvenire nei tempi e nei modi richiesti dalla specie da immettere. Quanto all’introduzione e alla reintroduzione di selvaggina queste dovrebbero essere materia di un Comitato Faunistico Tecnico Scientifico.
– Apertura generale alla terza domenica di settembre e chiusura al 31Coppia di fagiani copia gennaio di ogni anno. Col nel mezzo di quest’arco temporale, altre aperture e chiusure per le diverse specie. La chiusura al 31 gennaio, per esempio, per la beccaccia, è giustificata da una verità  scientifica incontrovertibile secondo la quale “ormonali delle gonadi, fattore trofico e anticipo di migrazione” dicono chiaramente che la caccia a questo selvatico può benissimo estendersi fino al 31 gennaio se non oltre, come avviene in Francia. E’ quanto emerso all’interno dei lavori della 7^ assemblea della FANBPO, tenutasi nel maggio del 2011.
– Abolirei i tanti odiati ATC: ci si è chiesto quanto costa remunerare i Presidenti degli stessi e i gettoni di presenza degli oltre diecimila Consiglieri con tutta la scia delle altre spese? Vale la pena mantenerli in vita, se poco o niente hanno fatto per il recupero dell’ambiente e della fauna?
– Andrebbero riviste le norme riguardanti le Aziende Faunistiche Venatorie e delle Zone di Addestramento Cani, alcune delle quali sono “Zone di Rovinamento Cani”, non presentando alcun requisito per essere tale, specie in fatto di estensione.
– Per la caccia alla beccaccia, abolirei i beeper, così com’è avvenuto in alcuni paesi d’Europa. E sarebbe ora che ciò avvenisse anche in Italia per evitare, in particolare, quegli sgradevoli concerti in discordanza con la silenziosità  del bosco con la quale questo tipo di caccia andrebbe fatta. Suvvia, la poesia dell’autunno, la discrezionalità  del bosco e della beccaccia meritano di meglio. Tale marchingegno, da me e da tanti altri non condiviso, è oggetto di vivace disputa. Agli utilizzatori dico semplicemente che è sì vantaggioso per una più facile localizzazione del cane in ferma, ma che è svantaggioso per il semplice fatto che la beccaccia ha capito che a seguire arriva lo sparo, pertanto s’invola prima. La conferma si ha di stagione in stagione. Andrebbe permesso solo per i cani da valanga e per gli interventi delle Unità  Cinofile Italiane Soccorso, la cosiddetta UCIS.
– I pareri dell’ISPRA dovrebbero essere super visionati da una commissione ad oc, perchè a me sembra che gli orientamenti da essa imposti spesso sono orientati dal vento governativo più che da quello scientifico senza, peraltro, considerare quello che avviene in tutta Europa.
– Alle Associazioni venatorie toglierei alcuni privilegi quali, ad esempio, quello che i loro rappresentanti non debbano fare parte delle Commissioni per il conseguimento dell’abilitazione venatoria. La loro è una presenza spesso, anzi molto spesso, finalizzata all’accaparramento di tessere. Che facciano e divulghino, nel loro ambito e fuori, cultura venatoria: una lacuna gravissima del mondo venatorio italiano! E quando sono “sentite” per un qualsiasi motivo devono presentarsi al tavolo dei lavori con un unico documento. Che vadano prima a scornarsi in altri sedi. Altrettanto per il mondo agricolo ed ambientalista.
– Aumenterei, di molto, le sanzioni e contemplerei il ritiro, a vita, del porto di fucile per chi abbatte selvaggina particolarmente protetta e per chi effettua l’appostamento mattutino e serale alla beccaccia, eccetera.
Quanto proposto e tanto altro so, per esperienza che a tanti farebbe venire il mal di pancia. E’ l’effetto collaterale che scatena l’esame revisionatorio di ogni legge.
Al di là  di quanto proposto, l’arte e la cultura vanno messe al primo posto, perchè senza di esse non si va da nessuna parte. Nell’immaginario della cultura venatoria di massa la caccia presenta difetti e mancanze abissali, che mai potranno essere colmati da venditori di tessere. L’ars venandi lo richiede come presupposto, merita la diffusione della sua valenza culturale e artistica per stabilire rapporti con la società  civile. E per rimarcare che, al di là  del rito atavico, è molto di più: filosofia di vita, amore per la natura, religione e sorgente d’ispirazione alla quale hanno attinto letterati, poeti, musicisti e artisti di tutto il mondo. Penso a Puccini, a Hemingway, a Turgenev, a Rigoni Stern e a tanti altri.